La fotografia di Sophie Germano: l’autoritratto come anatomia della consistenza

un giorno, non so dire quando, mi accorsi di aver iniziato a fotografarmi in maniera quasi ossessiva, ma ormai non potevo più smettere…

I temi privilegiati nei frammenti di Sophie sono forma e assenza di forma, presenza e assenza. Il corpo è cosa tra le cose, è sguardo e guardato allo stesso tempo. Corpo oggetto, corpo materia, silenzioso tentativo di parola. Dalla sua bocca-obiettivo le parole escono informi, illeggibili e trasparenti in una richiesta costante e quasi ossessiva. Anche qui, come nel suo libro, l’endiadi Eros e Thanatos si ripropone, in una stanza anonima che è una voragine.

È praticamente impossibile non percepire lo sforzo, un moto perpetuo che tenta di cogliere la presenza senza arrivare a sfiorarla mai, quasi come un’osservatrice ospite che si trova a documentare una figura assorbita, fagocitata. Un corpo estraneo nello spazio, talvolta austero, che dà l’impressione di esser stato gettato, in maniera mai casuale. In molti scatti il corpo è raccolto, quasi a proteggersi da un’ulteriore offesa. Raramente la posizione è frontale e il viso non viene quasi mai scoperto. A volte si ha l’impressione che l’immagine evapori verso il proprio centro, in un gioco di contatto e tracollo tra spazio e luce, vuoto e ombre. Un desiderio convulso, quasi ossessivo come lei stessa scopre nel tempo, che porta tuttavia a smarrirsi, senza mai far mancare un’amara carezza.